Ghali al vetriolo contro i colleghi, perde la pazienza dopo mesi di silenzio: “Avete ucciso il rap”. I diretti interessati rispondono e scoppia la polemica.
Un milione di persone. È questa la stima. Una marea umana invade le strade della Capitale. Lo spettacolo, ripreso dall’alto tramite un drone, fa splendidamente impressione. Le piazze si riempiono in supporto della Palestina e della Global Sumud Flotilla. L’impressione è che la guerra sia iniziata da pochi mesi, forse settimane. In realtà perdura ormai da quasi due anni. E uno dei primi a esporsi – quando in molti non avevano ancora il coraggio di farlo – è stato Ghali.
Sul palco del Festival di Sanremo viene redarguito, quando pronuncia di fronte al pubblico la dibattuta g-word. “Stop al genocidio”. In pochi lo difendono, quando la stessa Mara Venier cerca di ridimensionare la portata delle parole del suo ospite, durante la puntata speciale di Domenica In. Parte poi, diversi mesi più tardi, la missione umanitaria. Quattrocento attivisti, provenienti da più di quaranta nazionalità, partono alla volta di Gaza. Il mondo, improvvisamente, si sveglia.
Ghali però non perdona e, per quanto esprima la sua soddisfazione sul cambio di rotta di molti dei suoi colleghi, non riesce a discostarsi da una neonata consapevolezza: “Il genocidio in Palestina ricadrà sulla vostra arte, sulla vostra penna, sulla vostra salute mentale e sulla vita delle future generazioni” – e la sentenza – “Il rap è morto, è tutto un gran teatro”. Alcuni colleghi rispondono alle accuse.
Nessun attacco, nessun biasimo. Fabri Fibra interviene in occasione della quarta edizione dell’evento Red Bull 64 Bars Live. “Si è esposto prima degli altri…vedo che crede in quello che dice. Penso che, in qualche modo, subisca anche questo fatto di sentirsi sempre straniero, nella sua Nazione e sento la sua lotta” – il pensiero del rapper. Al contempo sottolinea che, per quanto importante comunicare con la musica, il linguaggio si è evoluto nel corso degli anni.
“Negli anni ’90 era necessario essere aggressivi per attirare l’attenzione e l’interesse di chi ti ascoltava” – la riflessione. Tuttavia il discorso di Ghali è più sottile. Il genere nasce negli anni ’70 a New York, nella comunità afroamericana del South Bronx. Si afferma, come sottolinea Fabri Fibra, negli anni ’90 come genere di denuncia, antisistema. Gli artisti infatti affrontavano temi piuttosto delicati come la discriminazione razziale, la povertà, la violenza e l’identità.
L’evoluzione, soprattutto dei testi, ha implicato un graduale cambio di rotta. Oggi si parla di love story adolescenziali al limite della tossicità, di social media e simili. In questo senso Ghali, probabilmente legato all’impronta originale, ha definito “morto” il genere che tanto ama.
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